Capita spesso di leggere di truffe ai danni del conto corrente nei confronti di ignare vittime, già clienti di banche più o meno importanti. Tra le più comunemente utilizzate spiccano quelle legate al phishing, una truffa telematica che consiste nell’invio di una e-mail alla vittima, che ricalchi in tutto e per tutto – anche e soprattutto graficamente – un messaggio inviato dalla propria banca di riferimento.

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Truffa sul conto corrente: come funziona il phishing

Il phishing funziona per l’appunto così: l’utente, ignaro che possa esistere una truffa di questo tipo, clicca sulla mail e legge il messaggio. Solitamente c’è un carattere di urgenza (ad esempio, devi sbloccare un bonifico che non è arrivato a termine, e lo devi fare entro qualche ora, oppure devi reinserire i tuoi dati personali perché c’è stato un errore nel sistema o un attacco informatico) che ti induce a fare rapidamente (e senza pensarci troppo) quello che ti si chiede di fare. Ci può essere un allegato da scaricare, che spesso nasconde un virus, oppure un link sul quale cliccare, che spesso rimanda a una pagina clone del sito della banca dove devi inserire i tuoi dati personali e sensibili, come ad esempio il codice Pin per accedere al tuo conto. Dati che vengono estrapolati dal malfattore, il quale sottrae le informazioni di cui ha bisogno per colpire il conto corrente e il saldo depositato e svuotarlo nel minor tempo possibile (o comunque prelevare quanto più denaro possibile, cercando di non destare troppi sospetti).

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Conto corrente svuotato per truffa di phishing: quando chiedere rimborso alla banca

Nella maggior parte dei casi è la banca a contattare il cliente vittima della truffa, soprattutto se si rende conto di movimenti strani sul conto. Ma se il truffatore agisce bene, spesso la vittima se ne accorge solo quando è troppo tardi ed è difficile poi recuperare il saldo perduto. Ci sono tuttavia delle circostanze nelle quali si può chiedere un rimborso alla banca, in qualità di risarcimento per la truffa subita. Ciò non è sempre possibile, dicevamo, ma in un caso sì, è possibile e doveroso rivolgersi verso il proprio istituto di credito.

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Questa eventualità avviene solo nel caso in cui la banca non abbia fatto quanto era nelle sue possibilità per tutelare il conto corrente del suo cliente e prevenire (e quindi evitare) la truffa di phishing ai suoi danni. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 806/2016, nella quale si stabilisce che una banca può essere considerata corresponsabile del furto nel caso in cui non abbia attivato nessun sistema di prevenzione e tutela del conto corrente del cliente. Solo ed esclusivamente in questo caso la vittima della truffa può chiedere un risarcimento alla banca, in quanto corresponsabile, anche se indirettamente, del danno subito.

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