Come funziona la tassazione nei certificati di investimento? Trattandosi di strumenti finanziari non soggetti all’imposizione fiscale di vantaggio che invece caratterizza i titoli di stato, i certificates sono soggetti ad una aliquota del 26%. Ad essere oggetto di tassazione sono le plusvalenze che si generano nel momento in cui un certificato di investimento viene venduto ad un prezzo più alto di quello a cui è stato acquisto. Sono soggetti alla tassazione anche i bonus incassati (ove presenti) e i guadagni ottenuti con il flusso cedolare.
Detto in questi termine sembra essere tutto molto semplice e il discorso sulla tassazione dei certificati di investimento si potrebbe chiudere qui. In realtà l’aspetto fiscale dei certificates non si esaurisce con la sola proceduta di tassazione ma ingloba tutta una serie di altri aspetti tanto che è preferibile parlare di una più ampia fiscalità dei certificati di investimento. E quindi ricorso al regime dichiarativo o a quello regime amministrato (vantaggi e svantaggi dell’uno e dell’altro) ma anche modalità di compensazione delle minusvalenze ed eventuali altri aspetti fiscali.
Insomma dire che i certificates sono tassati con aliquota del 26% è dire tutto e nulla. Ci sono infatti tutta una serie di aspetti fiscali correlati da conoscere per poter avere una fiscalità efficiente e vantaggiosa.
In fin dei conti, l’obiettivo di chi investe in certificates (ma il discorso vale per tutti gli strumenti di investimento) è evitare che il suo profitto sia mangiato dalle tasse. Per farlo serve conoscere la fiscalità dei certificati di investimento. E riuscire a maneggiarla con padronanza.
Indice
Come funziona la tassazione dei certificati di investimento in parole semplici
Ovvero con un esempio terra terra.
🔍 Ammettiamo che tu abbia comprato un certificato di investimento a 1000€ e che lo rivendi a 1200€. Il profitto sarà dato dalla sottrazione tra il prezzo di vendita e quello di acquisto ossia 200€. Essendoci stato un guadagno, in sede fiscale, scatta la tassazione del 26% prevista sul profitto generato da questo strumento finanziario. Il 26% di 200€ sono 52€.
Eccezion fatta per l’aliquota del 26%, l’unica altra questione da ricordare a proposito del funzionamento della tassazione sui certificates è che l’aliquota viene applicata sul profitto al netto e non al lordo. Ciò significa che nell’esempio terra terra che abbiamo fatto è presente una forzatura: non sono state calcolate le commissioni che vengono applicate dal broker o dalla banca per comprare e vendere il certificato. Esse sono variabili a seconda dell’intermediario. Quindi, in realtà, tassazione da pagare nell’esempio fatto è più bassa dei 52€ indicati.
Altre tre regolette, spesso date per assodate, in merito al funzionamento della tassazione sui certificates:
- fino a quando il certificato comprato non viene venduto non si paga alcuna tassa
- se la vendita del certificato avviene in perdita non scatta alcuna tassazione
- il peso della tobin tax sui certificates è del tutto marginale (infatti non lo consideriamo)
Fiscalità dei certificati di investimento: redditi diversi non redditi da capitale
Il fisco italiano fa rientrare i certificati di investimento nella categoria REDDITI DIVERSI della certificazione fiscale. E’ questa una vera e propria “anomalia” visto che, in sede di dichiarazione dei redditi tutti gli strumenti di investimento, dagli ETF ai fondi comuni di investimento fino alle obbligazioni e ai dividendi azionari, vengono inquadrati come REDDITI DA CAPITALE.
🔍 A fare eccezione a questa regola è una precisa tipologia di certificates: quelli a capitale protetto con cedole incondizionate. Questi ultimi, a differenza di tutti gli altri tipi di certificati, non hanno un rendimento aleatorio e quindi non sono considerati REDDITI DIVERSI ma REDDITI DA CAPITALE.
La particolarità dei certificates rispetto agli altri strumenti di investimento non è solo nella terminologia. Se per quello che riguarda l’aliquota applicata nella tassazione nulla cambia (è il 26% per tutti gli strumenti finanziari tranne i titoli di stato), sul meccanismo di compensazione le differenze ci sono eccome. I certificati di investimento in quanto redditi diversi, ai fini fiscali, possono essere usati in compensazione per coprire eventuali perdite precedenti. Questo è un vantaggio rispetto a ETF, fondi comuni, bond, etc.
I certificates sono quindi convenienti dal punto di vista della fiscalità rispetto agli altri strumenti di investimento che vengono inseriti nella dichiarazione fiscale come redditi di capitale.
La compensazione delle minusvalenze al centro della fiscalità dei certificates
Il pezzo forte della fiscalità dei certificates è la possibilità di portare in compensazione le minusvalenze vale a dire le perdite causate dall’attività di compravendita.
I modi per far scattare la compensazione sono tre:
- usando i profitti ottenuti dalla vendita dei certificates ad un prezzo più alto rispetto a quello di acquisto (capital gain)
- usando il rimborso a scadenza di un certificato ma solo se esso è ad un prezzo superiore a quello di acquisto
- attraverso lo stacco di cedole condizionate ad una barriera
Le prime due modalità sono molto simili tra loro essendo basate sullo stesso principio della differenza di prezzo tra vendita (o scadenza) e acquisto. La seconda modalità è invece più specifica.
Anche in questo caso facciamo un esempio per spiegare come funziona la compensazione delle minusvalenze con i certificates usando lo stacco delle cedole.
🔍 Hai una minusvalenza iniziale di 1.000€ da scontare e hai deciso di comprare 10 certificati di investimento a 1.000€ ognuno spendendo 10.000€ in tutto. Passato un mese il certificato paga una cedola pari all’1€. Tu hai 10 certificates e quindi maturi 100€ di cedole in tutto. Poichè parti dalla minusvalenza di 1.000€, su quei 100€ di cedole non scatterà alcuna tassazione. La minusvalenza iniziale verrà infatti portata in compensazione scendendo a 900€ (1.000€ – 100€ di cedole). Nei mesi a seguire i certificati che hai comprato pagano altre cedole sempre dell’1%. Su 6 mesi, le cedole totali saranno pari a 600€. Anche su questo guadagno non dovrai pagare alcuna aliquota perchè verrà usato per ridurre la minusvalenza iniziale che dopo essere passata a 900€, scende alla fine 300€.
Questo meccanismo rende la fiscalità dei certificati molto vantaggiosa.
Meglio il regime dichiarativo o amministrato per i certificati di investimento?
Regime dichiarativo o regime amministrato per i certificati di investimento. Tanto per iniziare è bene rinfrescare la memoria su cosa si intende con l’uno e cosa con l’altro.
🔍Entrambe sono modalità di tassazione dei redditi da investimenti finanziari ma con il regime dichiarativo è l’investitore ad occuparsi di dichiarare al fisco i redditi derivanti dai suoi investimenti, mentre con quello amministrato è l’intermediario finanziario (come una banca o una società di intermediazione) che gestisce la tassazione.
Nel caso dei certificati di investimento:
- scegliendo il regime dichiarativo, i guadagni dovranno essere inseriti ogni fine hanno nella dichiarazione dei redditi al netto della compensazione sulle minusvalenze (se presente). L’obbligo di presentare la dichiarazione non spetta al broker o alla banca presso la quale è stata svolta l’attività di compravendita dei certificates ma all’investitore stesso.
- scegliendo il regime amministrato, saranno la banca o il broker a inserire periodicamente i proventi derivanti dai certificates nella dichiarazione dei redditi del loro cliente. E’ sempre possibile usare eventuali minusvalenze per compensare le plusvalenze.
Sia nel caso del regime amministrato che nel caso di quello dichiarativo, la compensazione delle plusvalenze può essere effettuata fino al termine del quarto anno successivo alla loro maturazione. Oltre questo limite essi si “prescrivono” e non possono più essere esercitate.
Sui certificates viene applicata un’aliquota del 26% tramite imposta sostitutiva. La tassazione sui certificati di investimento è uguale a quella su tutti gli altri strumenti finanziaria (tranne i titoli di stato).
Il quadro corretto è REDDITI DIVERSI, eccezione fatta per i certificates a capitale protetto con cedole incondizionate che invece vanno in REDDITI DA CAPITALE come ETF, fondi comuni, bond, etc
Il riferimento è alla possibilità di portare sempre in compensazione le minusvalenze derivati dall’attività di compravendita vale a dire le perdite. Il termine per esercitare questa facoltà è di 4 anni.