Investirei immediatamente in fondi comuni se non fosse per i costi che pesano sull’investimento. Questa è una di quelle espressioni tipiche che siamo abituati spesso a sentire quando si parla di acquisto di fondi comuni di investimento. Ma questo timore è realmente fondato oppure è frutto solo di luoghi comuni e del sentito dire?

Insomma a prescindere dal discorso commissionale (a proposito dai un occhio a questo articolo che parla dei fondi comuni senza commissioni) si può sapere quanto costa investire in fondi comuni? E’ possibile elaborare una stima dei costi medi? Sul tema sono intervenuti, in fasi differenti, sia la Banca d’Italia che la Consob.

I due enti super-partes, in tempi non sospetti, avevano già fornito delle indicazioni molto precise sui costi dell’investimento andando a rassicurare proprio quegli investitori potenziali che temono il peso dei costi totali sul rendimento finale delle posizioni aperte. Più recentemente si sono imposti marketplace di fondi comuni come Fundstore che consentono di investire con ZERO commissioni di sottoscrizione, switch e rimborso.

Quanto costa investire in fondi comuni? Costi diretti e indiretti

Per capire quanto costa investire in fondi comuni è fondamentale tenere conto di due voci: i costi diretti e i costi indiretti. Entrambi i parametri impattano su quello che poi è il costo complessivo che va a gravare sul rendimento netto della posizioni aperta.

A questo punto vorrai certamente sapere quali sono i costi diretti e quali invece i costi indiretti dei fondi comuni. E noi siamo qui per questo ossia per spiegare questo passaggio con la massima semplicità possibile.

Dunque i costi diretti sono sostenuti dall’investitore in modo diretto e comprendono le commissioni di ingresso che sono pagate nel momento in cui avviene la sottoscrizione delle quote e le commissioni di uscita che invece scattano le momento in cui avviene il cosiddetto riscatto. Passando dalla teoria alla pratica, è possibile stimare, in qualche modo, l’ammontare dei costi diretti? In linea di massima a valere è questo principio: le commissioni di ingresso che il risparmiatore deve pagare decrescono man mano che aumenta l’entità dell’investimento mentre le commissioni di uscita calano in relazione al periodo di permanenza del fondo.

E per quello che riguarda i costi indiretti? Questa voce è sostenuta indirettamente dai sottoscrittori. Cosa significa questo? In pratica tutti i costi indiretti vengono decurtati dal valore delle quote dei fondi. Rientrano nella macrocategoria dei costi indiretti le commissioni di gestione ma anche commissioni di incentivo e la remunerazione della banca depositaria oltre ad una serie di altri oneri residuali. La sommatoria di tutti questi costi indiretti costituisce la voce Total Expense Ratio (TER). Questo parametro è un elemento da valutare con molta attenzione al momento del sottoscrizione del fondo che puoi effettuare senza commissioni di sottoscrizione, switch e rimborso sul sito ufficiale Fundstore (sul catalogo Morningstar sono disponibili migliaia di fondi).

Costi fondi comuni: il Total shareholder cost (TSC)

Il Total shareholder cost (abbreviato TSC) è un altro parametro da tenere in debita considerazione quando si parla di costi dei fondi comuni. Tecnicamente il TSC indica il costo complessivo dell’investimento ed è dato dalla somma tra i costi diretti e quelli indiretti.

Vero è che ogni fondi comune fa storia a sé (e non è compito di questo articolo occuparci dei TSC di ogni strumento di investimento), tuttavia, sempre grazie ai report della Banca d’Italia, possiamo avere delle tendenze. Negli ultimi 10 anni, il valore medio del Total shareholder cost è stato pari all’1,58 per cento del patrimonio complessivo dei fondi.

La linea grafica indica una tendenza improntata alla crescita graduale. Da un lato, infatti, c’è stato l’aumento delle commissioni di sottoscrizione e rimborso mentre dall’altro c’è stata la mancata flessione proporzionale delle commissioni di gestione. Insomma le prime sono cresciute troppo rapidamente per poter essere compensate dal calo delle seconde. Un modo per evitare di restare intrappolati in questo meccanismo è scegliere piattaforme come Fundstore che, come netto, non prevedono commissioni di sottoscrizione e neppure costi occulti.

In generale, comunque, le due componenti del TSC si muovono in direzioni tendenziali precise:

  • fondi bilanciati, obbligazionari e flessibili: le commissioni a carico dell’investitore sono maggiori
  • fondi azionari e di liquidità: le commissioni a carico dell’investitore impattano di meno.

Come investire in fondi comuni senza costi occulti

Nei precedenti paragrafi abbiamo citato vari costi che impattano sul rendimento effettivo dei fondi comuni. Come spiegato, le voci da tenere in considerazione sono tante. In realtà, molto spesso, devi fare anche i conti con altri costi nascosti.

Tra le clausole dei contratti di adesione ai fondi comune si possono infatti nascondere voci che impattano sul costo totale della sottoscrizione. Diciamo pure che i costi occulti sono un incubo per il risparmiatore. Quando tutto sembra essere chiaro e quando finalmente sai quanto costa investire in fondi comuni, ecco che, tra le righe, appare la classica spesa occulta.

Per evitare questo problema puoi usare piattaforme come Fundstore per comprare i tuoi fondi. Fundstore, infatti, ha fatto dell’assenza di costi occulti uno dei suoi punti di forza. Non solo ma le commissioni di switch e rimborso sono ZERO. Clicca sull’immagine in basso per accedere al catalogo completo.

Investire in fondi comuni costa tanto? Conclusioni

Ed eccoci quindi arrivati alla conclusioni. Alla luce di quanto fin qui detto, investire in fondi comuni costa davvero tanto o sono solo luoghi comuni? In base ai dati ufficiali, il costo dei fondi di diritto italiano è praticamente allineato a quella che è la media europea. Tutte le classi retail hanno un costo molto simile a quello degli altri paesi UE.

Negli ultimi 10 anni il rendimento medio annuo è stato pari al 3,5%. Se consideriamo i costi diretti e indiretti sostenuti dagli investitori, il rendimento si riduce al 2%.

Secondo un’indagine condotta sul campo, il 67% dei risparmiatori italiani continua ad affidarsi a consulenti finanziari tradizionali utilizzando strategie pre-impostate e facendo i conti con costi spesso elevati.