Nel primo semestre del 2025, l’Open Banking in Italia continua la sua crescita, con un aumento dell’8% nel numero di connessioni ai conti correnti rispetto allo stesso periodo del 2024. Secondo l’ultimo Market Outlook di CRIF, il tasso di successo della procedura di Access to Account ha raggiunto il 57,4%, segno di un consolidamento della fiducia da parte degli utenti e di un miglioramento delle piattaforme digitali.
L’indagine, che ha analizzato un campione di 286.000 soggetti e oltre 436.000 conti correnti, mostra come la condivisione dei dati bancari (alla base del modello Open Banking) stia diventando una pratica sempre più accettata e compresa anche in Italia, sebbene il ritmo di adozione resti più lento rispetto a mercati come Regno Unito o Nord Europa.
Simone Capecchi, Executive Director di CRIF, ha sottolineato che la crescita è legata sia ai progressi tecnologici nei processi digitali, sia a una maggiore consapevolezza dei consumatori sui vantaggi del sistema, come una migliore valutazione creditizia e l’accesso a prodotti finanziari personalizzati.
Chi sono gli italiani che usano l’Open Banking
Lo studio CRIF evidenzia che gli utenti “New to Credit”, cioè coloro che non hanno mai avuto prestiti o finanziamenti, registrano un tasso di connessione al conto corrente superiore del 27% rispetto al 2024.
Questo segmento mostra una propensione doppia rispetto ai clienti “Active to Credit”, confermando come l’Open Banking stia diventando una porta d’accesso al credito per chi era tradizionalmente escluso dai circuiti finanziari.
La Generazione Z segna l’aumento più rilevante (+3,2%), seguita dai Baby Boomers (+0,3%).
Si riduce invece la quota di utenti con redditi più alti (oltre 2.500 euro mensili), mentre cresce quella di chi percepisce tra 1.000 e 2.000 euro.
Si tratta di una distribuzione che riflette l’ampliamento della base utente verso fasce più giovani e tecnologicamente competenti.
Open Banking e rischiosità creditizia: meno rischio, più trasparenza
Dal punto di vista creditizio, i dati CRIF segnalano un miglioramento complessivo della qualità del portafoglio utenti: la quota di soggetti a basso rischio è salita dal 38,7% al 40%, mentre cala quella a rischio medio.
Chi collega il proprio conto principale risulta mediamente più affidabile di chi condivide un conto secondario, con un bad rate inferiore dell’80%. Questo dimostra come la trasparenza dei dati finanziari, se gestita correttamente, rappresenti un elemento di stabilità anche per banche e finanziarie.
Le sfide e le opportunità per l’Italia
Antonio Deledda, Executive Director di CRIF, ha spiegato che la vera sfida dell’Open Banking italiano resta duplice: semplificare ulteriormente le procedure digitali e potenziare l’educazione finanziaria dei consumatori. La scarsa conoscenza dei benefici e delle tutele sulla condivisione dei dati è ancora uno degli ostacoli principali alla crescita del settore.
Tuttavia, le prospettive restano positive. Grazie all’evoluzione normativa europea (PSD3 e PSR) e all’integrazione con l’intelligenza artificiale, l’Open Banking si avvia a diventare il pilastro di un ecosistema finanziario più competitivo, sicuro e inclusivo. In questo scenario, la fiducia degli utenti e la qualità dei dati saranno gli elementi chiave per la piena maturità del mercato italiano nei prossimi anni.
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